2025

CAPOFORTUNA, terra di campo, distributore di palline in acciaio e plexiglass, 162 × 40 × 44 cm.

Capofortuna ironizza sulla facilità con cui oggi siamo in grado di “acquistare” una coscienza pulita: bastano pochi secondi, un gesto meccanico, e ci si sente in pace con il pianeta. In un sistema dominato dall’istantaneità del consumismo, anche il rapporto con l’ambiente può essere ridotto a un’esperienza breve, un sollievo prêt à-porter. L’installazione agisce come lente critica sulle abitudini della contemporaneità, in cui l’eco-ansia può essere sublimata in piccoli riti autoassolutori, dove la terra stessa diviene gadget pseudo-terapeutico da distributore automatico. Confezionando l’emergenza climatica come merce dal carattere nostalgico, l’artista presenta Capofortuna come, allo stesso tempo, un gioco e un piccolo inganno: un contentino, un placebo green che ci ricorda quanto sia semplice vendere l’idea della salvezza e quanto più difficile sia, invece, assumersi la responsabilità di coltivarla.

ALMAC'È, a cura di Fabrizio Contarino, Espai Souvenir, Barcellona.

Almac’è è un gioco di parole tra il vocabolo spagnolo “almacén” (“magazzino”) e il verbo italiano “esserci”, può essere tradotto con “c’è l’anima”. Come attribuire soggettività, intesa come forme di caratterizzazione, una continuità a livello di interiorità o la presenza di una qualche forza vitale, agli oggetti recuperati all’interno del magazzino di Espai Souvenir? Viene posta l’attenzione sull’agency di questi elementi per poter restituire un senso di presenza interiore, di volontà e di vita propria. L’ordinaria percezione di oggetti più o meno quotidiani cede il passo a un’esperienza più diretta, come quando ci ritroviamo a parlare con il computer che si impalla o la macchina che stiamo guidando. Ancora oggi, nel rapido e interconnesso scenario del turbocapitalismo, sopravvivono sbiadite forme di animismo che, nonostante tutto, rendono possibili nuove ed inedite relazioni tra mondo umano e non umano.

CINQUE GNEFRI A ZONZO, a cura di Antonio Rocca, Rocca Albornoz, Narni.

Secondo la tradizione popolare locale lo “gnefro” è una creatura leggendaria mutaforma, spesso descritta come folletto, che usa fare scherzi e burle ai viandanti. È solito vivere in gruppi più o meno numerosi nei pressi della cascata delle Marmore, del lago di Piediluco e lungo il fiume Nera, il quale scorre a pochi passi dalla Rocca di Narni. Questo intervento installativo nella zona degli orticelli sfrutta la riflessione della luce solare per richiamare la dimensione eterea di questi spiriti elementali. Cinque gnefri a zonzo invita a esplorare ed osservare con curiosità lo spazio, inteso sia come architettura sia in quanto paesaggio, alla ricerca delle cinque sculture e del piacere della scoperta. È un’esortazione a fermarsi, a uscire da un tempo produttivo incessante che sta progressivamente colonizzando il tempo libero per entrare in una dimensione magica e di gioco.

THROUGH THE UNKNOWN REMEMBERED GATE, a cura di Massimo Bartolini, Giovanni Gamberi e Corrado Gagliano, Art City, Via del Guasto, Bologna.

Grazie all’apporto dell’archeoacustica è stato scoperto che l’architettura specifica degli antichi siti sacri era in grado di canalizzare il suono e di influenzare direttamente i presenti, inducendo percezioni, visioni e stati di consapevolezza non ordinari. Lo spazio sotto la grata in cui è collocata l’installazione fa da cassa di risonanza all’esecuzione costante dei toni compresi tra 90 e 120 Hz, lo stesso range di frequenze rilevato in numerosi luoghi di culto preistorici. Questa particolare configurazione spaziale può riferirsi alla discesa, dal punto in cui ci si trova ad uno più in basso nel sottosuolo, come al suo contrario, ovvero, un’ascensione del sotterraneo e del non visibile che ritorna da sotto terra/sotto pelle per recuperare un’esperienza cosmico animistica del mondo e dell’ambiente naturale.

WHEN AND WHERE I LOST MY OTHER EYE?, Cattedra Caccioni, ABABO Accademia di Belle Arti di Bologna.

Questo intervento installativo sperimenta una nuova connotazione dello spazio preesistente, trasformandolo in una sorta di laboratorio asettico, in cui un ritrovamento extraterrestre viene messo in quarantena e studiato. Cosa/chi è alieno se ci siamo allontanati a tal punto dalla natura da arrivare a oggettivarla e analizzarla in maniera fredda e distaccata? Utilizzo della terra come segno di una forte decostruzione per ritornare all’essenziale e per invertire il movimento verso l’alienazione che il sovraccarico di impulsi e di informazioni comporta. È un invito a ritornare alla terra, sulla terra, nella propria umanità. La scelta di bloccare la fruizione, sospendendola e rendendo inaccessibile l’opera che si trova in un piano retrostante, vuole rimandare all’isolamento richiesto all’iniziato, per preservare la sacralità soggettiva e personale della dimensione/tempo interiore.

2024

DEPENDENCE DAYS (SERIE ŻAVÂI), lanterna in vetro e legno, deodorante per auto, 27,5 × 12,5 × 12,5 cm.

PLASTIC HEARTBEAT (SERIE ŻAVÂI), macina caffè in legno, cavo elettrico, 20 × 16 × 17 cm.

SELF PORTRAIT (SERIE ŻAVÂI), pialla a mano in legno, catenina in acciaio, portachiavi apribottiglie in acciaio, 45 × 7 × 10,5 cm.

THE ALEPH (SERIE ŻAVÂI), bauletto in legno, specchio, 9 × 13,5 × 5,5 cm.

LE FRAGOLE NON CRESCONO SOLO D'AUTUNNO, CambiaMenti Festival, DumBO, Bologna.

Questo lavoro nasce dall’indagine dei processi di appropriazione e mercificazione delle risorse naturali attuati dal capitalismo globale e del loro impatto sullo stato di decadimento del pianeta. La produzione artistica è partecipe delle stesse logiche di sfruttamento della Terra. Con Le fragole non crescono solo d’autunno l’artista intende riflettere sulla possibilità di operare in modo sostenibile, forse questa volta scoperchiando interrogativi meno rassicuranti. La sostenibilità è ancora un’aspirazione? L’archiviazione di tentativi passati e di elementi precedentemente utilizzati nelle sue installazioni, disposti intorno alla piattaforma di una bilancia interrata a pavimento, rappresentano le contraddizioni tra il fine e la fine di queste ormai defunte presenze. Rimane l’occasione di salutare tutto ciò che sperava di non fare proprio quella fine.

VERSO CASA, a cura di Danilo Paris e Nicola Nitido, Festa dell’arte nomadica, Chiesa di Santa Lucia, Ferentino.

Verso casa è stato realizzato con la terra raccolta presso la campagna di Ferentino e si concentra sul racconto del mistero di un mondo dimenticato: quello animistico caratterizzato da una relazione numinosa e cinestetica con l’ambiente naturale. L’opera si va a collocare in uno spazio che non c’è più o in un tempo che non è ancora. La sua indeterminatezza non è solo temporale tra un passato lontano e tra un possibile futuro prossimo, ma anche spaziale: l’installazione si trova idealmente in un limbo a metà tra la chiesa e la montagna/bosco. Si manifesta una forte corrispondenza tra l’ambiguità della dimensione temporale e quella fisica, che ne ampliano lo spazio di fruizione e assicurano una lettura multipla da parte dell’osservatore partecipante, il quale, a seconda delle proprie esperienze e percezioni personali, può scegliere la direzione verso cui intende fare ritorno.

DECOLONIZING LOCAL SPOTS, a cura di Carmen Lorenzetti, Opentour, Arco Iris R, Bologna.

Mentre assistiamo alla distruzione di interi ecosistemi sotto forma di sfruttamento e appropriazione delle risorse naturali, nella sua rappresentazione artistica e comunicazione mediatica la natura appare sana, rigogliosa e fertile. Il rovesciamento tra realtà ed estetizzazione vuole porre l’attenzione sui danni che il sistema tecnocapitalista sta apportando al pianeta. L’indeterminatezza dei processi biologici di trasformazione che caratterizzano l’esposizione rispecchia l’imprevedibilità degli effetti della crisi ambientale, ma anche l’ambigua posizione che sta prendendo l’essere umano in merito. All’installazione in mostra sono stati affiancati eventi collaterali di convivialità e socialità quali dj set, una puntata del podcast Burro, un workshop finale e happening performativi in cui i germogli e funghi cresciuti spontaneamente dalla terra sono stati donati ai visitatori.

2023

IL CIELO DI INDRA (SERIE ŻAVÂI), macina caffè in legno, silicone, 23,5 × 18 × 18 cm.

MON AMI HIBOU (SERIE ŻAVÂI), ramo d’albero, molletta in polipropilene e acciaio, 49 × 101 × 100 cm.

2022

KAIROS, legno laccato, specchio, silicone, 53 × 23 × 4,5 cm.

UNE PIPE ET SON DOUBLE (SERIE ŻAVÂI), pipa in legno, scarto industriale in polipropilene, 15 × 16 × 16 cm.

2020

SOGNARE I BISCOTTI (SERIE ŻAVÂI), tazza porta cialde in ceramica, lamelle in legno, colorante per resina, acqua, 13 × 28 × 28 cm.

BIG BIC (SERIE ŻAVÂI), accendini BIC, cartone vegetale, cartoncino, 37 × 11,5 × 8 cm.